Non c’è dubbio che il passaparola di pazienti soddisfatti sia stato, sia e con ogni probabilità rimarrà il metodo più efficace per acquisire nuovi pazienti.
Questo assunto è confermato dall’esperienza di noi clinici, dai consulenti e anche dalla letteratura scientifica, quindi potrebbe avere poco senso metterlo in discussione.
Allo stesso tempo, mi è capitato proprio ieri un caso che mi ha fatto riflettere su un aspetto su cui raramente si punta l’attenzione.
Una paziente di 61 anni è venuta al controllo dopo una settimana da un grande intervento di riabilitazione implantare (full-arch superiore e inferiore, 4 zigomatici superiori e 4 impianti in mandibola estremamente atrofica): la signora era stata 3 anni (sì, proprio 3 anni) totalmente edentula nel superiore (perché non accettava la protesi mobile totale e non trovava nessuno che le offrisse una soluzione) e con 5 denti inferiori che definire mobili sarebbe eufemistico…
Da notare che è una signora molto curata nell’abbigliamento, educatissima e che ha un negozio di antiquariato, quindi certamente non un target “basso” o “ignorante”.
All’accettazione del piano di trattamento, l’avevamo classificata “marketing online” come canale di acquisizione, perché lei in prima telefonata e in visita aveva detto di aver visto i nostri video su Facebook, convincendosi che avendo risolto casi simili al suo, avremmo potuto aiutarla. Invece dopo controllo di ieri, ci ha rilasciato una meravigliosa recensione online, in cui oltre ai complimenti e alla condivisione della sua soddisfazione, ringraziava due sue amiche (nostre pazienti a cui avevamo eseguito lavori simili, uno “estremo” come il suo) per averle consigliato di rivolgersi a noi.
Incuriosito dall’incoerenza, per la deformazione accademica che mi spinge a indagare a fondo quello che sembra “contraddire” le conoscenze acquisite, ho voluto parlarle brevemente al telefono e mi ha spiegato che dopo che le sue amiche le avevano parlato di noi, ha passato 3 mesi guardando i nostri video (che l’algoritmo di Facebook le sottoponeva sempre con maggiore frequenza, riscontrando il suo interesse) prima di chiamarci.
Chiaramente un caso non dimostra nulla, ma mi ha fatto pensare che nonostante avesse avuto una raccomandazione estremamente positiva da due persone di sua fiducia e fosse in una situazione oggettivamente drammatica a livello estetico e funzionale, solo mediante un marketing strutturato si sia convinta a decidere, accettando un piano di trattamento estremamente oneroso a livello economico, psicologico e biologico.
La mia conclusione è stata che forse prima o poi si sarebbe convinta comunque (o forse avrebbe visto il marketing di qualcun altro…), ma è indubbio che un marketing etico, basato sul condividere informazioni sulle possibilità terapeutiche, esponendo in modo comprensibile ai pazienti — e soprattutto non “terrorizzante” con dettagli cruenti o tecnici troppo complessi — può essere utile non solo alle attività che lo propongono, ma soprattutto fare del bene a quei pazienti che hanno necessità di intervenire e per qualche motivo non riescono a trovare qualcuno a cui affidarsi.
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